L’Isola di Cebu di Tarcisio Mazzeo


Le attività della Missione degli Agostiniani Scalzi nelle Filippine

  • Missione: La presentazione dell’Azione Missionaria di P.Luigi Pingelli, Priore Generale dell’O.A.D.
  • Cebu: La descrizione dell’Isola di Cebu nelle Filippine di Tarcisio Mazzeo
  • ↑ DVD: Il DVD realizzato da Tarcisio Mazzeo di RAI 3 (da gloria.tv)

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Avendo fatto voto d’obbedienza, quando gli dissero di lasciare il Brasile per le Filippine padre Luigi Kerschbamer rispose “va bene” e accese il computer, tanto per sapere almeno dove si trovasse l’ isola di Cebu. Scoprì che si trovava a Sud, lontanissima da Manila, la capitale, che a ben pensarci è l’unica città dell’arcipelago il cui nome gli fosse (a lui come a noi) in qualche modo familiare. Decisamente non sapeva altro. “Ma poi, quando sono arrivato, mi sono reso conto che questo è un posto spettacolare in tutti i sensi : mari puliti, vegetazione rigogliosa, i galli che cantano a tutte le ore del giorno e della notte, ma soprattutto tanta, tanta gioventù”.

La condizione per svolgere il compito che gli era stato affidato : proporre percorsi di fede, formare sacerdoti per l’ Occidente in crisi di vocazioni. Compito assolto: ” dopo i primi otto anni abbiamo avuto le prime ordinazioni , nei quattro successivi abbiamo avuto 24 sacerdoti, nel giro dei prossimi quattro o cinque anni dovremmo averne una quarantina, e coi 150 giovani che sono in cammino le prospettive sono molto, molto buone”. Tutto cominciò a Lauregno, in alta Val di Non, quarantacinque anni fa. Luigi aveva quindici anni e girava per malghe, era pastore, ancora non sapeva che lo sarebbe stato per sempre: l’occasione fu la visita di un padre agostiniano venuto da Genova per fare visita a un vecchio amico, un carabiniere trasferito per motivi di servizio dalla città della Lanterna a Rumo, sulle Dolomiti. Un segno: ” Il primo fu padre Aldo Fanti, poi io stesso, poi padre Modesto, proprio di Rumo, e così si aprì la vena vocazionale dei trentini con gli agostiniani scalzi di Genova”. Era il ’61, il passaggio dalle malghe al mare non fu facilissimo: “Entrai in convento, nel Santuario della Madonnetta, sulle alture della città. Non parlavo mai, perché sapevo solo il tedesco; nei quattordici anni successivi ho parlato solo italiano. Ho studiato, sono stato ordinato sacerdote da Monsignor Chiocca. Un giorno apro la Bibbia e mi capita sotto gli occhi un passaggio un po’ strano:’Figlio dell’uomo, lascia quello che hai e prepara il tuo bagaglio’. Due mesi dopo, un mio superiore mi chiede se sono disponibile a partire per il Brasile, dove c’è da avviare una missione. Faccio i bagagli e parto. Quattordici anni dopo mi dicono di nuovo di preparare il bagaglio. Ubbidisco. Fra qualche tempo me lo diranno di nuovo: forse per la Cina”.

Non sarà facile, del resto non lo è stato in Brasile dove è rimasto per 17 anni e non lo è stato nelle Filippine, dove padre Luigi arrivò nei primi anni 90. ” Andai dal Vescovo e gli domandai un qualunque aiuto. Mi rispose che non poteva offrirmi alcuna assistenza materiale, anche perché solo a Cebu ci sono più di 80 congregazioni e se aiuti uno devi aiutare tutti. Gli dissi: ‘Almeno mi dia la sua benedizione’. Mi inginocchiai e ricevetti la benedizione”. E quello fu l’inizio. Ora la missione è articolata in tre grandi strutture: la casa madre, a Tabor Hill, nella città di Cebu; la casa del noviziato, a Ormoc sull’isola di Leyte, distante due ore di nave; la casa di Butuan, sull’isola di Mindanao, distante una notte di navigazione, dove comincia la formazione dei giovanissimi.
Il percorso si conclude a Cebu, dove i futuri sacerdoti dividono il loro tempo fra lo studio e il lavoro esterno, nei poverissimi quartieri della capitale filippina del cattolicesimo qui sbarcò Magellano nel 1521, e con lui arrivò un agostiniano incaricato di evangelizzare la popolazione). “Siamo fra i poveri, nelle carceri, nell’ospedale psichiatrico, siamo anche all’ Università di cui io sono cappellano. Facciamo molto grazie agli aiuti che arrivano dall’ Italia: contiamo moltissimo sui containers che si riempino in occasione del Natale, con generi di necessità ma anche attrezzi da lavoro. Le esigenze sono infinite, l’ultimo impegno che abbiamo preso è la costruzione di una casa per bambini senza famiglia, a Puerto Bello. Ora sono ospitati nell’ex carcere municipale”.
Si farà su un terreno di quattro ettari affacciato sul mare, con una bellissima spiaggia. E’ stata posta la prima pietra, ne servono altre. A Padre Luigi serve aiuto: ” A occhio e croce ci vorranno quindicimila sacchi di cemento, il prezzo di qui corrisponde a due euro e cinquanta per sacco, e questo solo per parlare del cemento, poi viene il ferro, la mano d’opera e tutto il resto.

E’ un appello che mi è salito alla gola nel momento in cui entrati in quello che ho chiamato (perché così l’ho vissuto) il carcere dei bambini. Provate a immaginare un portone di ferro che si apre cigolando su un corridoio lungo il quale si affacciano altre porte di ferro, e dal primo spioncino vi guardano due bambini, nell’altro guardate voi perché non credete a quello che vedete e infatti è incredibile che dentro ci sia un quindicenne; vi guardate intorno e poco più avanti c’è uno stanzone, con una dozzina di letti a castello, davanti a due gabinetti alla turca e dirimpetto a un altro stanzone altri gabinetti alla turca e altri letti a castello.

Ora immaginate un sedicenne che vi dica di aver cominciato a drogarsi “sniffando la colla” quando ne aveva dieci (ora naturalmente non lo fa più), un altro che viveva per strada ed è stato portato qui da un mendicante” , un altro arrivato non si sa come da un’altra isola dove vivono mia madre e i miei fratelli” ma non si sa chi siano, si sa solo che il padre è morto in un incidente; tutti si dicono contenti di essere qui, di andare a scuola, di aver cominciato a fare piccoli progetti. Quello di Padre Luigi è grande e chiaro: “Dobbiamo toglierli da lì, con la massima urgenza. E’ vero che l’ex carcere del comune è meglio della strada, ed è solo una soluzione d’emergenza. Però si porta avanti da qualche anno. E allora il nostro piano è intervenire, costruire una casa d’accoglienza, tirar fuori i bambini da questo ambiente che è negativo in tutti i sensi.”.

Lo dice con calma, senza cambiare tono, la lancetta del registratore neanche oscilla : la casa si farà. Non c’è dubbio. C’è la Provvidenza. C’è stata sempre, dice sorridendo e racconta di quando arrivò a Cebu praticamente a mani vuote: non c’era niente e lui non aveva niente. Come ha potuto cavarsela ? “Applicando il Vangelo: quando andate, non portatevi dietro niente. Ci hanno aiutato, qui e in Italia, tanti amici generosi. So che dietro c’è la Provvidenza, perché è una grazia di Dio avere tanti amici. E’ grazie a tutto questo appoggio che abbiamo potuto realizzare tante opere, in tutti i sensi”. Padre Luigi sorride e ricorda. ” Appena ci siamo organizzati abbiamo cominciato a offrire il nostro servizio. Per farlo, abbiamo cercato subito di realizzare lo scopo vocazionale, ma già con le prime ordinazioni ci siamo messi al servizio della Diocesi: come cappellano dell’Università di Cebu, come cappellani di due ospedali, quindi con i giovani che aiutano nelle varie direzioni : i poveri, i bambini, gli ammalati”.

Così la missione è cresciuta, gli impegni si sono moltiplicati. Gli amici anche. A ogni inizio d’anno arrivano containers con le offerte raccolte in tante parrocchie del Trentino, a Genova, in Piemonte, Umbria, Marche e in tante altre comunità parrocchiali d’ Italia. ” E’ veramente un grande aiuto, approfitto dell’occasione per ringraziare tutti. E’ un aiuto per la comunità, per le due comunità che sono collegate a noi, anche per le altre comunità, specialmente quelle di origine italiana. Distribuiamo tutto quello che arriva, dalla stoffa per il laboratorio di sartoria alle scarpe, agli strumenti agricoli, soprattutto il cibo: dalla pasta alla farina, alla zucchero, alla marmellata, le marmellate fatte dai miei familiari e da altri amici, tutto questo qui ci fa molto piacere”.

E dall’Italia ogni tanto arriva qualcuno: per conoscere e raccontare, per fermarsi un po’ di tempo, perché anche lui ha letto quella pagina del Vangelo, ha preparato il bagaglio e ha lasciato quello che aveva. “Però io ho scritto al mio confratello: io l’ho fatto, ma tu quando vieni porta qualcosa”. Ogni tanto arriva qualcuno anche dal resto del mondo: “Eh sì, la nostra comunità è oramai diventata internazionale: italiani, pakistani, brasiliani, cinesi, indiani, filippini. Capita a volte che uno parli nella lingua dell’altro, e allora mi guardano attoniti. Abbiamo un sacerdote cinese, chiesa patriottica e un altro che è stato per tre anni in prigione e il cui zio vescovo è morto in prigione, è in contatto con noi. Le e-mail difficilmente incontrano barriere. Un altro invece non può venire nelle Filippine perché non riesce ad ottenere il passaporto. Si capisce facilmente come, con tutte queste nazioni rappresentate, in pochi anni avremo sacerdoti che potranno ritornare nei loro paesi di origine per realizzare il lavoro del regno di Dio. Io sono pronto per andare con loro”.

E’ la vita del missionario, è il compimento di una scelta fatta quarantacinque anni fa, andando per malghe. Padre Luigi ha un bel modo di fare. Lo seguo mentre risponde alle domande di Cristina, la volontaria trentina che ha fatto da interprete a me e a Tito, il mio fratello di reportages missionari, l’autore di tutte le immagini che vedrete nel filmato. Cristina sta preparando il servizio che consegnerà alla rivista della Diocesi di Trento. Ha inutilmente cercato di farmi pronunciare correttamente il cognome Kerschbamer. La pronuncia corretta è importante, è una questione di rispetto e di identità. Poiché non ci riuscivo, ho cercato di sviarli. Così ho fatto la domanda che avevo in animo fin dal principio: Padre Luigi, ma è vero che è cugino del Papa ? ” Sì, un po’ lontano, so che la bisnonna del Santo Padre è della Val di Fiemme ; risalendo un po’ troviamo un punto di contatto. Ma quando ci siamo incontrati, nel novembre 2005 e lui era ancora Cardinale, non gliel’ho detto”. Riservatezza dolomitica. E quanto c’è della sua terra nell’organizzazione della sua missione ? Mi ha risposto con un lampo di dolcissima nostalgia : “Eh, qui mancano solo i gerani”.